In un anno il mondo per come lo conosciamo può
cambiare. E' una crisi lunga, ma che non potrà avere in eterno la dimensione
dell'emergenza.
La vittoria di Hollande, la sfida di Obama, le
elezioni in Germania. In breve tempo anche l'Italia dovrà scegliere per il suo
futuro.
La nostra generazione non può stare a guardare.
Non solo in Italia i partiti sono distanti, non
solo da noi è più semplice distruggere che ricostruire. Ma per tutti il
cambiamento passerà da lì: dalla partecipazione delle persone alle decisioni
istituzionali.
A quel punto la politica dovrà recuperare una
credibilità smarrita e dimostrare di esistere per cambiare le cose. Saranno da
individuare le persone, i programmi di un nuovo orizzonte progressista che
inverta la rotta di questa occidente invecchiato. Ma il termometro della nostra
democrazia ci dice che qualcosa va fatto, ancor prima di ciò.
Se i partiti sono il più efficace strumento che
abbiamo per realizzare questo cambiamento - e noi lo crediamo - è da affrontare
prima di tutto il logorato rapporto con la società e con i cittadini.
Non vinceremo e non cambieremo nulla se non saremo
parte di un grande mobilitazione popolare. I partiti saranno il motore
principale, ma dovranno sapere aprirsi con coraggio, verità e gesti concreti di
rinnovamento.
E' per questo che noi ci vogliamo essere, e non da
soli. Vogliamo portare la voce di una generazione indispensabile.
Perché non accettiamo che ci descrivano le
indagini di mercato: vogliamo parlare con la voce del nostro impegno, dei
nostri mille lavori, del nostro studio, dei nostri valori: crediamo nelle
risposte collettive.
Non pensiamo che ci sia un'Italia migliore di
un'altra. Crediamo che esistano l'individualismo, il privilegio, la solitudine
come pure la solidarietà, l'uguaglianza e il senso di comunità. Sta a noi
scegliere la direzione di marcia.
Esiste una strada percorsa tutti i giorni da
associazioni, imprese, gruppi informali, organizzazioni politiche giovanili,
che portano avanti le proprie cause di militanza civile, sul lavoro, con
l'arte, nella formazione e nell'educazione, per la legalità e i diritti.
Pensiamo sia ora che quel mondo giochi il ruolo che gli spetta.
Saremo in movimento verso la nostra occasione di
cambiare l'Italia. Lo faremo in un anno difficile, ma fiduciosi che molti si
aggiungeranno.
Dal 2013, governare il nostro Paese dovrà essere
qualcosa in più che tenere i conti a posto.
Per dare dignità al lavoro, per colmare i divari
territoriali, per ridistribuire ricchezza e opportunità, per costruire l'Europa
della conoscenza e della sostenibilità ambientale, servirà un programma che
guardi al merito delle cose e non agli slogan.
Non c'è tentativo di cambiamento che riuscirà se
non partendo da chi quotidianamente lo pratica, spesso fuori sia dalla politica
organizzata che dalla "società civile" che conta. E da queste
persone, reti, movimenti, associazioni vogliamo partire, per elaborare assieme
le proposte e, soprattutto, per provare insieme a cambiare le cose.
Dalle scelte del prossimo Governo italiano
dipenderà tanto la tenuta sociale delle nostre comunità quanto la capacità
della nostro Paese di compete nell'economia globale. La nostra fetta di mondo
deve porre la qualità della vita e del lavoro dei cittadini al centro del
proprio orizzonte di progresso economico e civile.
Le scelte programmatiche qualificano i gruppi
politici più delle trovate mediatiche.
Su quelle vogliamo incidere.
1) I CONTI CON L'OSTE
Questa volta non basterà qualche trovata
mediatica, non servirà scommettere sull'inadeguatezza degli avversari. In
Italia, per quanto riguarda i privilegi della "casta", i costi della
politica, il ricambio delle classi dirigenti e la questione morale esistono
ancora enormi differenze tra la "destra" e la "sinistra".
E' tempo di dimostrarlo!
C'è il rischio che un'intera generazione - e non
solo quella - , disillusa, stia a guardare.
Molti cittadini non si concederanno alle
partigianerie e decideranno sulla base di scelte e segnali concreti. E'
irresponsabile andare al voto con questa legge elettorale, berlusconiana e
antidemocratica. Prima della fine della legislatura occorre restituire ai
cittadini la scelta dei loro rappresentanti e ritornare ad un vincolo di
rapporto territoriale per gli eletti.
Un futuro Governo di centro sinistra non dovrà
comprendere Ministri con troppe stagioni alla spalle. I gruppi parlamentari
dovranno essere largamente rinnovati: attraverso il rispetto del vincolo dei
tre mandati e affidando alle Primarie o a strumenti di consultazione
democratica il compito di comporre le liste elettorali.
Basta coi doppi e tripli incarichi! Riproporre i
medesimi candidati ad ogni livello è un limite dei partiti, non il volere degli
elettori. Serve uscire dai pacchetti di consenso che sedimentano nei territori
in modo opprimente e investire in classe dirigente.
Servono regole certe per la stabilità delle
alleanze tra i partiti. Non solo partecipare alla primarie o vincere le
elezioni insieme: si deve governare il Paese. I gruppi parlamentari devono
votare a maggioranza e lavorare secondo precise regole di disciplina interna,
coordinati con i partiti di cui sono espressione.
Nelle priorità di Governo sarà da inserire la
riduzione dei costi e delle dimensioni delle istituzioni, a tutti i livelli. In
tempi di crisi - e non solo - la sobrietà e l'efficienza devono tornare a
guidare l'attività degli amministratori della cosa pubblica.
Per i cittadini è purtroppo sempre più difficile
trovare le differenze. Non è mai troppo tardi, invece, per i partiti fare la
differenza, e ricostruire quel rapporto di fiducia popolare che ci condurrà
fuori dalle secche della II Repubblica.
2) EQUILIBRI DIVERSI
Le disuguaglianze sono la chiave di lettura
trasversale di questa crisi. Il mercato non le sa combattere: tocca allo Stato
farlo, prima di tutto.
La disoccupazione giovanile, come la scarsa
ricettività delle competenze dei giovani che ha il nostro mercato del lavoro
sono al centro dell'arretratezza e delle ingiustizie del nostro Paese e hanno
radici profonde. Una fiscalità diversa può far cambiare questi equilibri.
Il nostro fisco premia chi possiede, non colpisce
le rendite finanziarie e
penalizza lavoro e imprese. Se chi ottiene un
reddito dal proprio lavoro o dalla propria
attività imprenditoriale viene tassato più di chi
consegue lo stesso reddito dalle proprie
rendite, le risorse si trasferiscono dagli
investimenti produttivi alle transazioni finanziarie. Occorre, quindi,
utilizzare anche la leva fiscale per interrompere e invertire tale tendenza,
contribuendo a implementare - a livello nazionale ma soprattutto europeo - un
modello
virtuoso che premi l'utilizzo delle risorse a fini
produttivi e penalizzi le mere speculazioni
finanziarie.
Allo stesso tempo il prelievo fiscale sulle
rendite di natura immobiliare, eliminando
incongruenze e iniquità prodotte dall'IMU, va
rimodulato secondo una accorta ed equa
applicazione del principio costituzionale di
capacità contributiva.
Tale obiettivo deve essere perseguito anche
attraverso una razionalizzazione del sistema
fiscale interno: investire sul lavoro significa
premiare le imprese con alto tasso di
occupazione.
L'IRAP deve cessare di essere una vera e propria
imposta sul lavoro: occorre incrementare gradualmente gli sgravi sul
costo del lavoro, introducendo un
meccanismo premiale per quelle imprese che
sopportano un costo del lavoro stabile "significativo" rispetto alla
propria dimensione.
L'evasione è un furto alla collettività, che non
basta affrontare con i proclami. Il fisco italiano si mostra rigoroso e
intransigente con chi le tasse le paga già e troppo
indulgente
con i veri evasori. In realtà questa è la logica conseguenza di una lotta
all'evasione fiscale condotta attraverso l'elaborazione di regole sempre più complesse
e "punitive", ma concretamente inapplicabili.
Si è
preferito tentare di favorire comportamenti virtuosi minacciando una forte
repressione piuttosto che lavorare e favorire un cambio di mentalità nel
rapporto stato-cittadini.
Si sono realizzate azioni di contrasto
all'evasione soltanto su un piano repressivo,
dimenticando di sviluppare parallelamente
meccanismi premiali per chi le tasse le paga.
Insomma, tanto bastone e poca carota.
Siamo convinti che questa sia la strada sbagliata.
Siamo convinti che una vera lotta all'evasione sia
possibile soltanto attraverso la responsabilizzazione di imprese, lavoratori e
cittadini anche mediante un utilizzo semplice e intelligente delle nuove
tecnologie.
Va incentivata la progressiva sostituzione della
moneta cartacea con quella elettronica attraverso strumenti innovativi e
premianti.
La fiscalità dice molto della direzione verso la
quale una comunità è orientata.
Noi siamo per tassare chi specula, colpire chi
evade e premiare chi produce onestamente.
3) I LAVORI PRIMA DI TUTTO
In Italia oltre al dualismo tra lavoratori
protetti dall'Art. 18 e non protetti si sono sommate divisioni: tra giovani e
anziani, tra lavoratori con tutele contrattuali e sociali e lavoratori che ne
sono privi; tra lavoratori autonomi e professionisti consolidati e giovani
professionisti o professionisti senza ordine ed albo.
E continuano a permanere le storiche distanze tra
nord e sud; tra lavoro nero e lavoro
regolare; tra occupazione maschile e femminile,
tra migranti e non.
Vogliamo uno sviluppo che parta dal lavoro
e dalla sua riunificazione partendo da compensi dignitosi rapportati
al proprio lavoro.
Nel paese che vogliamo le tutele sociali sono
inalienabili e dovute a tutti i cittadini a
prescindere dalla modalità con cui lavorano: a chi
si ammala come a chi vuole fare un figlio; a chi subisce un infortunio sul
lavoro e a chi vuole formarsi e aggiornarsi; a chi inizia un lavoro autonomo o
professionale, a chi investe proprie risorse e a chi per farlo ha bisogno di
accedere al lavoro.
Vogliamo ripartire dall'idea dello Statuto del
lavoro autonomo per garantire compensi equi, tutele sociali universali e
ammortizzatori in caso di perdita del lavoro.
Vogliamo sostenere una competizione economica
basata sulla qualità, sulla sostenibilità, sull'innovazione, sulla ricerca
premiando chi investe sulle capacità, sulle competenze e sulla compatibilità
sociale della propria impresa.
L'Italia sarà competitiva se diventerà un Paese
che tutela il lavoratore, la sua produttività come le sue competenze. La gara
al ribasso su diritti e redditi è irresponsabile e autodistruttiva.
4) OLTRE LISBONA
Il sapere, l'avanzamento tecnologico, l'imporsi
dell'economia della conoscenza e poi la più grande utopia degli ultimi
trent'anni, che nasce e muore grazie e a causa della stessa: Il programma di
Lisbona, il libro bianco di Jaques Delors.
Un sapere sempre più diffuso come leva per
costruire la società moderna e migliore: un sistema cognitivo del lavoro,
costruito su importanti investimenti nella conoscenza, nella ricerca,
nell'innovazione, che leghino in strade comuni il sapere e il saper fare.
Da troppi anni soltanto belle parole.
Opinione degli ultimi governi è stata che il
sistema del sapere deve subire il risparmio, e chiudersi nell'elitarismo di chi
espelle chi non merita il lusso di una lezione. Il sapere offerto a chi già ha
gli strumenti e non inserito nel processo di crescita complessiva di una
comunità. La crisi non è una nuvola passeggera, e impone all'Italia di mutare
idea di sviluppo. Bisogna cominciare da dove il paese forma le proprie
intelligenze e da dove queste incontrano il mercato: in sapere non si
risparmia, si investe. Sconfiggere la dispersione scolastica, aumentare il
numero dei laureati e rivalutare la
ricerca sono obiettivi che parlano dell'Italia di
domani e del lavoro di domani. Il welfare studentesco deve garantire accesso e
successo allo studio; il modo di apprendere deve permettere spazi
personalizzanti, percorsi e interazioni multidisciplinari e contemporanei;
servono formazione e innovazione permanenti per persone e imprese; serve
finanziare la ricerca dentro e fuori delle strategie industriali.
Il mondo dell'impresa italiana è l'altra faccia
del problema: poca innovazione e poco investimento sul saper fare di chi
lavora.
Accompagnare questo mondo verso la possibilità di
cambiare attraverso politiche industriali, incentivi, sostegno all'innovazione
è lo strumento per trasformare l'Italia nella società della conoscenza.
5) TUTTI AL CENTRO, NESSUNO ESCLUSO
Questa modernità ha cambiato il significato stesso
di inclusione e di periferia.
Questa crisi ne ha aggravato i problemi, ad ogni
livello. Ma alcune realtà aspettano da molto prima di essere affrontate.
Il disinvestimento delle risorse nel Mezzogiorno
del paese, accompagnato dalla necessità di utilizzare i fondi FAS in
sostituzione di quelli ordinari, sommato al lavoro nero, all' uso clientelare
di finanziamenti, ha contribuito ad alimentare i divari economici, sociali e
territoriali del Paese, divenendo un freno allo sviluppo complessivo.
Ridisegnati gli assi strategici ed economici
dell'Europa e non solo, modificati gli snodi di hubs, porti e transito merci,
emersi prepotentemente i paesi BRICS, occorre ridisegnare la funzione del
Mezzogiorno.
Non ci si può rassegnare alla chiusura dei grandi
insediamenti industriali pensando che il compito della politica sia
esclusivamente quello di monitorare qualità e quantità degli investimenti
privati.
Negli ultimi venti anni abbiamo assistito ad una
competizione per le risorse tra le diverse aree territoriali del Paese. E'
stato il frutto di una oncezione distorta di federalismo, e di localismi
esasperati ad identità fondativa di partito. Se il Mezzogiorno non cresce
l'Italia, tutta, non esce dalla crisi. E la distanza tra nord e sud si colma
soltanto ripartendo da grandi investimenti pubblici.
Occorre uscire dalla dicotomia tra autonomie
locali ed interventi nazionali, e liberare risorse, competenze e rimettere al
centro dell'azione governativa le politiche sociali, non intese come strumento
di assistenza, ma come fattore di uguaglianza necessario anche alla crescita
economica.
Autonomia energetica, tecnologia, integrazione dei
sistemi di sviluppo, infrastrutture efficienti ed integrate, riqualificazione
dei grandi insediamenti produttivi, sostegno all'economia sociale,
un'agricoltura e una cultura della tradizioni fatta di programmazione e
valorizzazione.
Il Mezzogiorno d'Italia ha tante chiavi di volta e
altrettante energie che aspettano di essere liberate.
6) LE NOSTRE CARTE
Nella competizione globale l'Italia è vittima di
anacronismi drammatici. I tagli sul settore dei beni culturali ci stanno
condannando a diventare fruitori più che produttori di cultura, noi, la culla
dell'arte Europea!
La cementificazione e l'abbandono stanno
impoverendo e depredando il nostro territorio dell'enorme patrimonio di
biodiversità e di bellezza paesaggistica.
Un Paese al centro del Mediterraneo, luogo di
passaggio e scambio tra i popoli del nord e del sud del mondo si è chiuso nel
raconcore e nella paura per lo straniero.
Così non andremo avanti a lungo.
In termini economici e occupazionali, oltre che di
civiltà, è necessario invertire le rotte. L'Italia è sinonimo di cultura nel
mondo, i suoi Governi dovranno cominciare ad esserlo entro i confini nazionali,
promuovendone la produzione diffusa e la conservazione.
L'ambiente è una grande risorsa, la sua tutela e
la sua conoscenza riempiranno il futuro dell'uomo: servono investimenti in
strutture e personale specializzato.
Solo una terra di solidarietà e integrazione potrà
sopravvivere all'urto della globalizzazione. Le grandi migrazioni si possono
governare o subire, non fermare.
7) DOMANI E' GIA' QUI
Nella crisi che stiamo vivendo e alla velocità con
la quale stiamo attraversando la storia, è indispensabile parlare di
innovazione. Se vogliamo parlare di futuro, bbiamo il dovere di proiettarci verso la
cosiddetta Social Innovation o Innovazione Sociale.
Proprio perché ancora in discussione il
significato e la portata stessa di tale definizione, l'Innovazione Sociale è un
immenso serbatoio di possibilità (progetti, servizi, produzioni, settori, ecc.)
che riguardano bisogni della società, incidono sugli stili di vita e che, allo
stesso tempo, creano nuove relazioni.
La produzione e l'organizzazione della vita in una
chiave ecosostenibile, consumi individuali e collettivi etici e solidali son
traguardi ai quali le tecnologie ci fanno guardare con fiducia e che devono
diventare parte dell'identità dei progressisti.
Il wi-fi libero, la digitalizzazione,
l'architettura partecipata, la nuova mobilità pubblica sono innanzitutto
straordinarie frontiere di progresso umano.
L'Unione Europea, in vista di Europa 2020, ha
inserito l'innovazione sociale come elemento strategico per crescita e sviluppo.
Anche il nostro Paese deve partecipare a questo
processo di avanzamento, favorendo l'innovazione a partire dalla
"domanda", dalla società e dalle nuove generazioni, già pronte a
mettersi in gioco. Garantire la presenza dei cittadini nella ricerca delle
soluzioni, nella costruzione delle relazioni e dei modelli innovativi genera
interventi istituzionali - messi in campo da governi e comunità - che
hanno un grande impatto sulle più importanti sfide dell'umanità.
8) PRATICARE IL CAMBIAMENTO
Nel ventennio del Berlusconismo, della nuova
corruzione dilagante, del discredito delle istituzioni a cui fanno da
contraltare fenomeni di facile quanto vacuo populismo, siamo invitati a fare
più e meglio perché è forte il disorientamento e la sfiducia nei confronti
delle istituzioni e della politica ed è forte la richiesta di una
partecipazione diretta, trasparente e pulita.
In questa stagione riteniamo indispensabile
richiamarsi ad una nuova sensibilità civile, ad un corretto vivere e ad un
rapporto trasparente tra rappresentanti e rappresentati che fanno parte della
stessa comunità, sia essa un partito, un circolo, un comune o l'intero stato.
Nessuno vuole più prendere parte ad un rito, ma
trovare il proprio modo di partecipare all'insegna del concetto principale: la
condivisione.
Relazioni e non gerarchie, reti e non piramidi,
perché tutti quelli che hanno competenze e qualcosa da dire (e si sentono di
dirlo) possano farlo.
Comprensibilità del processo, trasparenza e
tracciabilità delle decisioni, partecipazione e apertura alla società sono i
nostri obiettivi.
Non solo regole, però: altrettanto importanti sono
lo stile, i comportamenti e le modalità di rapporto tra politica e cittadini.
La convinzione è che discutere e adottare nuovi
comportamenti debba essere un segno di protagonismo del Partito Democratico,
del centro sinistra, e dei suoi militanti e dirigenti.
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